Io e la ragazza ci sediamo nello stesso momento.
Ci guardiamo, lanciandoci un debole sorriso di convenienza.
Mentre cerco il blocco degli appunti nella sacca disastrata, lei fa scorrere la cerniera della borsa ed estrae un mini notebook.
Lo apre, in silenzio, e inizia a digitare ritmicamente sui tasti.
Non si scompone, rimane seduta tranquillamente, il cardigan stirato alla perfezione neanche si increspa. Io, nel frattempo, sono riuscita a trovare finalmente il blocchetto e addirittura La Penna, quella che ormai ha visto nascere tutti i miei scritti e che ormai credo contenga la mia vena poetica. Da una delle tasche dei jeans strappati recupero la molletta e tiro indietro il ciuffo ribelle di capelli: sono quasi pronta.
Il fruscio dei fogli mentre cerco uno spazio vuoto sembra infastidire la mia compagna, che mi lancia un’occhiata irritata dai suoi occhioni azzurri, nascosti dietro gli occhiali enormi che porta sulla punta del naso.
Sorrido, un sorriso di scusa, mentre lei sbuffa e si infila gli auricolari dell’Iphone, per poi dedicarsi di nuovo al suo lavoro. Io calco le mie cuffione e abbasso lo sguardo sul mio foglio bianco, in panico.
Che cosa ho stavolta da raccontare? Ragazzi che scappano, che realizzano la loro vita come vorrebbero, avventure fantasy al limite del nonsense.. Tutti questi temi li ho già affrontati in mille salse. Quello che mi serve ora è qualcosa di nuovo. Fosse facile. Temo sia quello che chiamano il “blocco dello scrittore:che gioia. Mentre sto per rinunciare, sposto l’attenzione sull’altra ragazza.
Lei alza gli occhi nello stesso momento. Ci studiamo a vicenda, i miei jeans larghi contro il suo vestitino stretto, la borsa stile Mary Poppins e il suo cofanetto Luis Vuitton, i capelli irregolari e rasati e la sua coda lunga, liscia e ordinata. Ma quello che più mi colpisce è l’indifferenza che leggo nei suoi occhi, al limite del fastidio. Mi guarda dall’alto, con sufficienza.
Sarebbe un soggetto interessante da analizzare. Magari in realtà è molto più vicina ai miei soliti protagonisti di quanto potrei esserlo io. Ha tutti i requisiti richiesti: vita presunta facile, di sicuro grazie al patrimonio di famiglia, molte aspettative sul suo futuro, la giusta quantità di noia. Non male.
Allungo la mano per prendere la bottiglietta d’acqua, lei fa lo stesso.
Beviamo lo stesso numero di sorsate, posiamo la bottiglia nello stesso momento.
Ci voltiamo entrambe verso la finestra, osserviamo il panorama, perse nei nostri pensieri. Nulla di quello che vedo mi ispira la giusta intuizione, o quella sbagliata. Nulla mi ispira nulla. Potrei descrivere il nulla, ma non mi sento in vena di filosofeggiare.
Pesco nella borsa il cellulare, il buon vecchio Samsung incredibilmente integro nonostante i voli che gli faccio fare quotidianamente. Lei consulta l’Iphone, laccatissimo e lucido. Nessuna delle due è cercata, oggi.
Torniamo a fissarci.
Cerco di concentrarmi. Di tenere da parte i miei soliti voli pindarici, di focalizzarmi su qualcosa di verosimile e concreto che possa convincere i miei capi in ufficio che il fantasy non è per bambini, come mi sono sentita accusare l’ultima volta. “Siamo una casa editrice seria, non pubblichiamo libruncoli per poppanti.” Far capire loro che il fantasy apre la mente, a prescindere dall’età del lettore, e lascia un attimo di respiro alla quotidianità serietà presente e concreta. Persino la ragazza davanti a me, con un buon libro, potrebbe arrivare a rilassarsi, a commuoversi per la bellezza della fantasia, a sciogliere i capelli e non badare più tanto alla logica e alle regole.
Mi sorge però una domanda: come si fa? Prima ancora del “Perché?”. Come faccio a spegnere la fantasia, piegarla al mio ordinario e pretendere di scrivere qualcosa che comunque mi piaccia e interessi?
Disperata, faccio su un drum. Lei pesca dal pacchetto una sigaretta. Apro le vetrate colorate, lei scosta le tende broccate. Dal fumo del drum nasce un dragone, le ali spiegate nel cielo turchino, le fauci spalancate. Accanto a lui, la figura appena abbozzata di una domatrice, o un orso con un fucile. Inizio a fantasticare su che avventure potrebbero vivere, come potrebbe essere il loro mondo. Un soffio di vento li porta via, sformandoli e riformandoli finché non raggiungono il fumo della ragazza.
Una macchina, una battaglia, degli edifici colossali, grattacieli.
Non c’è verso, ovunque mi giri la fantasia stravolge tutto. E quello che vede la ragazza e che io vedo in lei, con me non c’entra niente.
Torno a sedermi, e così fa lei. Sfoglio qualche titolo a caso della pila di libri che ho accanto: ci sono tutti i grandi classici, da Manzoni agli storiografi latini, i realisti francesi dell’ ‘800, nella speranza che possa nascere così una vena più pragmatica e disincantata. Di fronte a me, la ragazza ne ha una di più fantasy e visionari: da Harry Potter al Tasso, scorgo qualcosa della Troisi, l’Iliade e i miti greci. Esattamente tutto quello che mi ispira e che so scrivere.
La ragazza di fronte a me sembra leggere il mio pensiero.
Rimaniamo un secondo con la mano sospesa.
Ci sorridiamo, e iniziamo a scrivere, frenetiche.
Rinuncio alle richieste di attenermi al vero e volo via, con l’immaginazione sono tutto ciò che voglio, come voglio, ovunque voglio, in qualsiasi realtà. La mia vita è extra-ordinaria, nel senso proprio del termine. Le parole corrono, riempiono le righe, come se ci fosse un ponte diretto tra mente e foglio. La mano mi fa male.
Nel frattempo, fuori si è fatto buio. In un attimo di pausa avevo acceso la lampada. La ragazza fronte a me sembra pallida, ma soddisfatta. Ha finito, e ho finito anche io.
Rileggo tutto, ed è perfetto. Anzi, assolutamente imperfetto. Come è giusto che sia. E a chi mi chiederà perché non so attenermi al mondo reale, risponderò semplicemente che il mondo reale non fa per me.
Io e la ragazza ci alziamo contemporaneamente. Spengo la luce, la camera e il mio alter ego nello specchio svaniscono, assorbiti dalla notte.
Mi stendo sul letto, il buio invade la mia mente e mi addormento.